I motivi che portarono l’Italia alla guerra con la Turchia si possono riassumere in questi brevi motivi: un presunto diritto sulla Libia in nome di un antico legame storico con l’impero romano; interessi strategici per impedire l’esclusivo controllo da parte dell’Inghilterra e Francia nel Mediterraneo e dirottare la gran massa di emigrati in un territorio sotto controllo italiano.
Ad insistere sul governo vi erano interessi economici di enti privati , come il Banco di Roma, intenzionati a costruire impianti commerciali e industriali.

La guerra in teoria avrebbe dovuto espandersi in vasti territori in possesso della Turchia, come la zona europea nei Balcani e nel medioriente.
A causa di interessi dell’Austria e Russia gli italiani nei Balcani non poterono operare.
Nel medioriente invece per motivi logistici e per alcuni interessi inglesi e francesi gli italiani si limitarono ad un blocco navale e una dimostrazione di forza nel porto di Beirut il 24/02/1912 e nello stretto dei Dardanelli 18 e 19/07/1912.
Nel Mar Rosso invece la marina con una squadra navale cercava di impedire l’afflusso di rifornimenti d’armi attraverso il Sudan; e piccole missioni militari nella penisola araba per portare armi ai ribelli del governo turco.

Così le operazioni di terra si svolsero solo nel territorio tripolino, cirenaico e l’occupazione dell’isola di Rodi e di altre 11 isole minori nel mare Egeo. I primi ad operare fù la marina che il 2 Ottobre bombardò i forti di Tripoli e il 5 fece sbarcare circa 1700 marinai che occuparono la città, difendendola dai turchi fino al 11 Ottobre, data in cui iniziò i primi sbarchi del corpo di spedizione che durarono fino il 16 a causa del mare mosso.
Il 4 alcuni reparti della marina occuparono il porto di Tobruk.
Il 19 Ottobre il 4º e il 63º reggimento sbarcarono sulla spiaggia della Giugliana a pochi chilometri da Bengasi che venne occupata per la sera del 20.
Dal 19 fino al 25 sbarcarono a Derna il 22º reggimento, il battaglione alpini “Saluzzo” e una compagnia del genio.
Il 21 dopo alcuni giorni di bombardamento navale l’8º reggimento bersaglieri sbarcò a Homs.
Il 23, forze turche e arabe attaccarono tutta la linea difensiva italiana di Tripoli, in modo accanito le zone di Henni e Sciara Sciat, le quali vennero attaccate alle spalle da ribelli arabi ritenuti pacifici o indifferenti alla situazione. Ci volle tutto il 24 e il 25 per riportare l’ordine all’interno delle oasi.
Dal mattino del 26 un nuovo energico attacco investì il fronte sud-est di Tripoli difeso dal 11º reggimento bersaglieri, una compagnia di marina, dal 84º, 82º e un battaglione del 63º reggimento di fanteria, che con grande fatica riuscirono a mantenere le posizioni,
ma per mancanza di rinforzi si decise di arretrare il fronte.
Solo il mese successivo il 26 novembre una brigata composta dal 23°, 52° e 50° reggimento fanteria, facendo un ampio giro a sud puntò verso il fortino di Messri, mentre la 3° divisione composta dal 11° reggimento bersaglieri, 18°, 93° reggimento fanteria e un battaglione granatieri, avanzò frontalmente sul fortino di Henni. Venne frugato tutta l’oasi, palmo a palmo per scovare i ribelli arabi che si nascondevano e per sera vennero raggiunti tutti gli obiettivi, perciò rioccupato le vecchi posizioni che erano state abbandonate il mese prima.
Nel settore di Homs il 23 ottobre vennero occupate le alture del Mergheb, ma da subito armati arabi iniziarono una serie di attacchi che dopo il 28 peggiorarono le difese dell’abitato.
Si rinforzò i reparti con nuove truppe, ma si dovette abbandonare il Merghed per meglio difendere Homs.
A Bengasi le truppe italiane con ardite ricognizioni offensive continuavano a mantenere il contatto con il nemico.
Il 28 novembre una colonna composta da tre battaglioni del 26° reggimento fanteria, due squadroni di cavalleria e una batteria avanzò su Coefia dove si scontrò con grossi reparti armati di arabi; la colonna si ritirò a Bangasi infliggendo numerose perdite al nemico.
Il 30 novembre e il 1 dicembre i turco-arabi tentarono altri violenti attacchi alle linee difensive di Tripoli che vennero fermati dalle trincee italiane e dai tiri di artiglieria navale.
Perciò si decise di occupare la zona di Ain Zara da dove partivano tutti i principali attacchi nemici.
Il 4 dicembre sotto una pioggia battente, partirono tre colonne: la prima a destra, la principale era composta da dieci battaglioni, due squadroni di cavalleria, quattro batterie da montagna e due compagnie del genio che dovevano attaccare il campo turco di Ain Zara dal lato ovest.
La seconda invece con quattro battaglioni e una batteria da montagna doveva attaccare al centro per tener occupate le forze avversarie agevolando l’azione della prima colonna.
La terza colonna di due battaglioni di fanteria invece doveva agire sulla sinistra verso le posizioni chiamate le Fornaci.
L’avanzata procedette regolarmente riuscendo a cacciare il nemico dalla zona.
Il 10 e 11 dicembre la 3° divisione puntò verso Tagiura lungo la costa est con tre colonne, mentre una quarta colonna partendo da Ain Zara raggiunse da sud Tagiura.
Il 13 l’oasi venne stabilmente occupata dal 93° reggimento, da alcuni uomini del 11° bersaglieri e un squadrone di cavalleria.
A Tobruk solo ai primi di dicembre vennero rinforzate le difese con due battaglioni di fanteria, uno di alpini “Ivrea”, 14 pezzi di artiglieria da 75, una batteria da montagna e una batteria da 149.
Il 22 dicembre armati avversari attaccarono i reparti in protezione ai lavori di costruzione delle ridotte che si difesero strenuamente fino all’arrivo dei soccorsi che cacciarono il nemico.

Con l'iniziò del nuovo anno l’esercito italiano si rafforzò permettendo il 27 Febbraio l’occupazione delle alture de Mergheb.
L’avanzata fu eseguita alle 6 del mattino su tre colonne: l’8º reggimento bersaglieri a sinistra, 89º fanteria e il battaglione alpini “Mondovì” al centro; il 6º e il 37º reggimento fanteria a destra. Dopo una marcia silenziosa e indisturbata le truppe italiane attaccarono con violenti assalti a corpo a corpo le posizioni avversarie occupandole già dalle prime ore del mattino.
Per tutto il mese di Febbraio i turchi effettuarono varie piccole azioni di disturbo sul fronte di Derna e il 12 attuarono un grosso attacco con 4000 armati che venne respinto dalle difese italiane.
Il 3 Marzo i turco-arabi con un violento attacco effettuato contro i reparti italiani dislocati nel vallone del Uadi Bu Masafer misero in grave difficoltà le difese di Derna, solo con l’arrivo di alcuni battaglioni di rinforzo e dell’artiglieria il pericolo fu evitato.
Nel settore di Bengasi la situazione era tranquilla fino al 12 Marzo quando forze nemiche forti di 5000 armati si presentarono davanti alla città.
Gli italiani attaccarono, mandando una colonna forte di sette battaglioni, due batterie da campagna, tre batterie da montagna, tre squadroni di cavalleria e un reparto di savari (i primi reparti di cavalleria indigena al servizio italiano); lo scontro avvenne nella località delle Due Palme. Dopo un furioso corpo a corpo il nemico fu costretto a ritirarsi e questa azione portò da parte turca a rinunciare ad azioni importanti nella zona di Bengasi.
Per risolvere il problema del contrabbando di armi dalla Tunisia da parte dei turco-arabi il comando decise di effettuare uno sbarco a Zuara, ma poi per vari motivi si decise tra il 11 e il 14 Aprile di far sbarcare la 5ª divisione speciale nella penisola di El Farua nella località di Ras El Macabez.
Venne occupata la ridotta turca di Bu Chemmasc che serviva da appoggio per controllare le vie interne del contrabbando.
Il 23 Aprile mentre le truppe italiane lavoravano per sistemare la nuova base, il nemico attacco con violenza, ma venne fermato prima dall’artiglieria e poi cacciato da un contrattacco che gli causò gravi perdite.
In seguito fu ampliata la zona occupando le alture di Sidi Said il 28 Giugno e Sidi Alì il 14 Luglio.
Per minacciare di più la Turchia si decise di occupare il 26 Aprile con reparti della marina l’isola di Stampalia che serviva come base per le operazioni navali nella zona del basso Egeo.
Invece il 4 Maggio una divisione speciale sbarcò a Rodi dove 1500 turchi si ritirarono verso il centro dell’isola in difesa.
Il 15 Maggio tre colonne di truppe italiane partirono dalla città di Rodi per attaccare i turchi.
Il 57º, 34º reggimento di fanteria e due batterie da campagna partendo dalla città si diresse verso il centro dell’isola; il 4º reggimento bersaglieri con due sezioni di mitragliatrici sbarcò a Kalavarda a ovest dell’isola e marciarono anche loro verso l’interno; mentre un battaglione di alpini sbarcò a est nella rada di Molona, si arrampicò sulle ripide pareti sempre verso il centro dell’isola circondando il nemico a Psithos che venne sconfitto dopo vari assalti e bombardamenti d’artiglieria.
Intanto reparti di marina sbarcarono in altre isole: Scarpanto, Caso, Piscopi, Nisiro, Lero, Calino, Coo, Simi e Clchi perciò occuparono tutte le isole delle Sporadi meridionali.
Per potersi assicurare il controllo del litorale si pensò ad attaccare Zanzur che era difesa da turco-arabi che costruirono varie file di trincee e ricoveri blindati.
Il 17 Maggio fu eseguito un finto attacco, mentre l’8 Luglio la 1ª divisione attacco frontalmente appoggiata dall’artiglieria navale, la 3ª divisione in riserva controllava i campi turchi esterni dell’oasi.
Con un assalto alla baionetta supportati dal tiro di artiglieria tutte le trincee nemiche vennero espugnate, cadendo in mani italiane tutto il robusto sistema difensivo di Zanzur.
Invece per espandersi sulla costa orientale di Tripoli il 15 Giugno la 1ª divisione speciale composta da: sette battaglioni di fanteria, due battaglioni di alpini, un squadrone di cavalleria, tre batterie da montagna, una batteria da campagna, aliquote di altri reparti e servizi; sbarcarono a Sidi Bu Sceifa e il 16 avanzarono fino a Ras Zarrugh ai margini dell’oasi di Misurata.
Dalle informazioni in possesso agli italiani, Misurata era difesa da 4000 arabi e 100 turchi regolari, così si decise di attendere che la base italiana a Sidi Bu Sceifa fosse ben solida e rifornita.
L’8 Luglio si effettuò l’attacco ai fianchi dell’oasi travolgendo le trincee difensive turco-arabe occupando prima il villaggio di Zarrugh e nel pomeriggio la città di Misurata.
Dopo la conquista dell’oasi a parte ad alcune sparatorie la zona rimase tranquilla fino al 25 Agosto quando grossi gruppi di armati attaccarono di sorpresa i convogli che dal porto di Sidi Bu Sceifa rifornivano Misurata; solo con l’arrivo dei rinforzi gli avversari arabi vennero respinti.
Il 18 Luglio la marina dopo aver rinforzato la base navale nell’isola di Stampalia, entrò con una squadriglia di cinque siluranti nello stretto dei Dardanelli e sotto il fuoco dei forti difensivi raggiunse la baia di Cavala dove fu costretta a fare marcia indietro ripassando sotto il tiro intenso dei forti.
I danni subiti dalla squadra furono minimi, ma dal punto di vista della propaganda fu un gran successo.
Nella notte del 4 e il 5 Agosto una brigata composta dal 34º e 57º reggimento di fanteria, un battaglione alpini e alcuni reparti d’artiglieria e genio sbarcarono a oriente di Zuara, mentre da Sidi Alì partì una colonna che si incontrarono a Zuara che nel frattempo fu abbandonata dal nemico.
Il 15 Agosto una colonna di: dieci battaglioni, due squadroni di cavalleria e quattro batterie mosse da Zuara su Regdaline occupandola con facilità.
Nel settembre per motivi logistici si divise le zona operative in due comandi: il primo in Tripoletania e il secondo in Cirenaica.
Per consolidare il controllo del territorio attorno a Tripoli si dovette procedere a liberare i dintorni dalle forze avversarie che ancora si nascondevano nell’oasi di Zanzur.
Con una divisione rinforzata da una brigata si occupò completamente l’oasi di Zanzur e l’altura di Sidi Bilal e respingendo un contrattacco nemico.
Con tale vittoria si eliminò qualsiasi resistenza turco-araba nella zona di Tripoli.
Dopo tutte queste vittorie italiane fecero capire alla Turchia che ormai la guerra non poteva essere vinta e in più la Turchia era impegnata anche in altri gravi problemi, come la rivolta araba nello Yemen e le discordie di confine con i stati dei Balcani.
Così dopo vari incontri tra le delegazioni italiane e turche a Ouchy, vicino Losanna in Svizzera, sotto pressioni delle potenze europee timorite da una guerre europea, si firmò il 18 Ottobre del 1912 un trattato di pace dove la Turchi riconosceva la sovranità italiana sulla Libia e temporaneamente sulle isole dell’Egeo.
La guerra con la Turchia ufficialmente finì ma i combattimenti continuarono ancora per parecchi anni.

Le forze impiegate
Il Corpo d’Armata Speciale (Gen.Caneva) era costituito da 2 Divisioni – ciascuna su 2 brigate di 2 reggimenti di fanteria, 2 squadroni cavalleggeri, 1 reggimento artiglieria da campagna su 4 batterie  da 75-A, 1 compagnia  zappatori con parco, servizi divisionali carreggiati e someggiati.
Vi erano le cosiddette “ truppe suppletive” costituite da: 2 reggimenti bersaglieri con sezioni mitragliatrici, 1 reggimento artiglieria da montagna su 4 batterie, 1 gruppo di 2 compagnie artiglieria da fortezza, 1 battaglione di 2 compagnie zappatori con parco, compagnia telegrafisti con parco, 4 stazioni radiotelegrafiche da campo, servizi carreggiati e someggiati.
Intendenza e servizi di 2ª linea senza mezzi di trasporto (eccetto una speciale colonna carrette).
In totale : 34.000 uomini, 6.300 quadrupedi, 1.050 carri, 48 cannoni da campagna, 24 cannoni da montagna.
Dopo le prime operazioni fù necessario inviare nuove truppe composte da: 2 comandi di divisione, 7 brigate e 1 reggimento di fanteria, 1 reggimento di bersaglieri, 6 battaglioni di alpini, 8 squadroni di cavalleria, 11 batterie da 75A e 6 batterie da 75 mod. 1906, 8 batterie da montagna, 7 compagnie di artiglieria da fortezza, 5 compagnie zappatori, 4 compagnie minatori, 1 compagnia telegrafisti, 1 sezione aerostatica e un nucleo di aviazione, più aliquote dei servizi logistici.
Totale: 55.000 uomini, 8300 quadrupedi, 154 cannoni, 1.500 carri e 137 autocarri.
Dal Gennaio all’Ottobre 1912 vennero ancora inviato altri 4 battaglioni di alpini, 7 battaglioni eritrei ed 1 squadrone meharista, più migliaia di complementi per colmare le perdi nei combattimenti e i soldati congedati delle classi 1888 e 1889.

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Uniformi

Per ufficiali
In Libia si utilizzò la nuova uniforme introdotta nel 1909, composta da una giacca di cordellino spigato in grigio-verde a quattro tasche di cui le inferiori sono interne con la sola pateletta a vista.
Sul colletto si applicavano le mostrine con la stella metallica zigrinata tipica da ufficiale.
I gradi si portavano sulle spalline.
I pantaloni erano del stesso tessuto della giacca.
Il copricapo usato durante il conflitto era il solito casco coloniale adottato nel 1887, era di fibra vegetale ricoperto di tela color bronzo chiaro; si applicava lo stesso fregio metallico del chepì in uso in patria, sovrapposto a una coccarda tricolore; ma era anche in uso il berretto grigio-verde confezionato nel tessuto usato per l’uniforme.
Le calzature erano di vario tipo come stivali o scarponcini indossati con fasce molettiere di panno grigio-verde o gambali di cuoi nero.
L’equipaggiamento per ufficiali era composto da un cinturone in cuoio naturale con una semplice fibbia, una fondina per la pistola con il relativo correggiolo e in fine integrato da diversi tipi di borse porta carte e custodie per binocoli.
La pistola usate era la rivoltella mod. 1889 “Bodero” calibro 10,35mm, con cilindro da sei colpi e la semiautomatica “Glisenti 1910” calibro 9mm, con caricatore da sette colpi.

Per truppa
L’uniforme che il Reggio Esercito adotta dal 1909 era di panno grigio-verde, composto da una giubba senza tasche e senza spalline; sostituite da spallini imbottiti, sopranominati dai soldati “salsicciotti”.
Sul colletto veniva portata la mostrina che permetteva di riconoscere il soldato appartenente alle varie brigate o specialità d’arma; sotto il colletto si indossava una gravata di tela bianca.
I gradi di truppa venivano applicati alle maniche, erano in galloni di lana nera per i caporali e gialli per i sergenti.
I pantaloni dello stesso tessuto della giubba erano indossati con le fasce molettiere anchesse di panno grigio-verde.
Il soldato italiano in Libia portava come copricapo un casco coloniale uguale a quello degli ufficiali usando fregi per truppa; ma era solito usare anche il berretto in panno grigio-verde e visiera in cuoi adottato con la nuova uniforme nel 1909, con i fregi ricamati in filo nero su pezzi di panno e poi cuciti sul fronte del berretto.
Gli alpini portarono con sè il nuovo capello di feltro grigio-verde e fregio ricamato in filo verde chiaro entrato in uso nel 1910.
Le calzature erano in cuoio naturale che molto spesso venivano tinte di nero.
La buffetteria era quella per le armi modello 91 in cuoio nero in uso dalla fine dell’800; era composta da una cintura, due giberne, un cinturino reggi-giberne e una tasca porta-baionetta.
Il tascapane modello 1909 era in tela di colore nocciola con parti in cuoio naturale.
La borracia era ancora il vecchio modello “Guglielminetti 1876”, una botticella di legno con cinghie di cuoio.
L’arma principale era il fucile modello “Mannlicher-Carcano 1891” a ripetizione manuale con pacchetto caricatore da 6 colpi in calibro 6,5mm e la relativa baionetta.
Altre armi erano il moschetto “91 TS” versione corta del fucile “91” dato in uso agli artiglieri e il moschetto “91 per cavalleria”, più maneggevole e dotato di baionetta ripieghevole.

Reparti eritrei
Gli Ascari eritrei venivano raggruppati in battaglioni, oppure in piccoli gruppi di graduati che inquadravano i nuovi battaglioni di soldati libici.
Gli Ascari indossavano un copricapo, il “Tarbush” in feltro rosso con fiocco di lana nel colore del battaglione; un camiciotto lungo fino al ginocchio; un giubbetto di tela bianca con controspalline; il “Senafilò” i pantaloni corti al ginocchio e i gambali di tela che molto spesso non venivano usati.
Alla vita si portava “l’Etagà” la fascia di lana colorata nei colori distintivi dei vari battaglioni. Il I bat. rosso, II bat. azzurro, III bat. cremisi, IV bat. nero.
L’equipaggiamento era composto dal tascapane del tipo in uso a fine dell’800, da un piccolo otre per l’acqua, una coperta da campo e la vecchia mantellina blu da bersagliere.

Reparti libici
I primi reparti di ascari libici furono creati nello stesso modo dei battaglioni eritrei.
I quadri dei sottufficiali erano formati da soldati eritrei.
L’uniforme era composta da una camicia e pantaloni lunghi di colore kaki, un copricapo rosso che si chiama “Tachia” che a volte è avvolto da un turbante bianco.
Portavano alla vita una fascia colorata nel colore del battaglione e calzavano fasce mollettiere grigio-verde con calzature di sandali o scarpe in cuoio naturale.
La buffetteria era uguale a quella del soldato italiano anche se, molto spesso usavano le giberne di vecchio modello.
Le armi in dotazione erano i vecchi fucili “Vetterli mod. 70/87”, ma per alcuni reparti come i savari venivano armati con i “91 per cavalleria”.

tavola1

tavola2

tavola3

esercito Turco